LA MOTIVAZIONE DELLE PRONUNCE DELLA CORTE COSTITUZIONALE

 

(FOTO PRESA DA: https://it.wikipedia.org/wiki/Corte_costituzionale_della_Repubblica_Italiana)

Per comprendere i meccanismi di funzionamento della Corte occorre addentrarsi nella

motivazione delle sue pronunce, una delle tematiche più complesse e insieme controverse dell’intero processo costituzionale. L’obbligo di motivazione dei provvedimenti della Corte non trova un’espressa previsione al livello delle fonti costituzionali, ma si rinviene nell’art. 18 l.87/53, a norma del quale:

-le sentenze sono pronunciate in nome del popolo italiano e

-debbono contenere, oltre all’indicazione dei motivi di fatto e di diritto,

-il dispositivo,

-la data della decisione e

-la sottoscrizione,

-mentre le ordinanze possono essere succintamente motivate.

Il fondamento, in primo luogo teorico, dell’obbligo di motivazione è stato tradizionalmente ricercate anche altrove, e specificatamente nell’art. 111, 1° comma, Cost., in forza del quale tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati. Da esso è sembrato doversi trarre un principio di portata più generale, in grado di connotare la stessa democraticità dell’ordinamento, attraverso la predisposizione di uno strumento di controllo da parte dei consociati sul funzionamento dei pubblici poteri. La previsione dell’obbligo di motivazione risponderebbe sia a esigenze interne al procedimento sia a più vaste aspettative di controllo dall’esterno. Queste ultime potrebbero ritenersi tanto maggiori nel caso della Corte costituzionale, in considerazione della delicatezza e della rilevanza delle funzioni da essa esercitate.

Da un punto di vista storico, l’obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali si è affermato in maniera lenta e ineguale nei diversi ordinamenti, e soltanto a partire dalla fine del XVIII secolo alla motivazione dei provvedimenti giurisdizionali è stato riconosciuto il carattere di fulcro della decisione e, progressivamente, di luogo privilegiato di inveramento dei principi fondamentali sulla funzione giurisdizionale, fino a riconnettervi strettamente la stessa legittimazione complessiva dell’attività dei giudici.

Del resto, la profonda attenzione e la forte attesa di ruolo che si è venuta creando intorno agli organi della giustizia costituzionale ha finito per focalizzarsi sulla loro motivazione. Nella motivazione veniva a confluire la giustificazione della motivazione presa, la sintesi espressa dei fattori spesso inespressi di natura giuridica, razionale, ideologica o politica che avevano condotto a quel risultato. Ed era ancora la motivazione a rappresentare lo strumento con il quale il giudice costituzionale mirava ad ottenere il consenso della comunità sulla propria giurisprudenza e in definitiva sul ruolo e sulla sua stessa legittimazione nel sistema, oltre che il principale mezzo di controllo democratico di quell’organo che, per composizione e compiti, era e rimane naturalmente estraneo al più diretto e immediato circuito della rappresentanza popolare. Passando ad analizzare le finalità proprie della motivazione, ai profili della possibile valenza endoprocessuale ed extraprocessuale, si devono aggiungere quelli dell’efficacia verso l’interno e verso l’esterno della motivazione. Mentre il versante esterno si traduce essenzialmente nella possibilità che attraverso la motivazione della pronuncia i destinatari, e in generale la pubblica opinione, siano posti in grado di esercitare un effettivo controllo su di essa, quello interno consiste nella capacità della motivazione di esprimere una sorta di doppia coerenza:

1. tra i passaggi che la compongono e il dispositivo che ne consegue, e

2. tra quella pronuncia e i precedenti con cui si salda per dare vita a indirizzi giurisprudenziali

tendenzialmente coerenti, pur nell’ovvia possibilità di mutamenti.

Un aspetto ulteriormente connesso è quello rappresentato dalla natura da riconoscere al ragionamento giuridico svolto dal giudice nella motivazione del provvedimenti e se debba prevalentemente intendersi:

A. in chiave descrittiva del procedimento decisorio: nella motivazione il giudice esporrebbe il

resoconto dell’iter logico e psicologico seguito per giungere alla decisione in una prospettiva che

tende a rappresentare la motivazione come un prius, sul piano logico, della decisione.

B. o giustificativa del suo risultato: chi privilegia la natura giustificativa della motivazione ritiene che in essa il giudice esprima le ragioni sulle quali dovrebbe fondarsi l’accettazione e il consenso dei destinatari della pronuncia. Questa seconda prospettiva, in genere maggiormente condivisa dalla

dottrina, è parsa oltretutto idonea a dar conto delle ipotesi nelle quali il giudice redige la motivazione a distanza di un certo lasso di tempo dalla deliberazione, e, a fortiori, allorché si tratti dell’estensione di una decisione collegiale, dal momento che appare meno probabile che egli sappia e possa ricostruire con esattezza, fedeltà e assoluta precisione il modo e le fasi attraverso cui la maggioranza dei componenti è pervenuta all’approvazione del dispositivo.

Infine, un ultimo profilo riguardante la motivazione è quello dei caratteri e dei contenuti che dovrebbe in concreto possedere per assolvere i compiti di essa propri. A tal proposito, sono elementi ormai pacificamente acquisiti il carattere sostanziale (e non meramente formale) dell’obbligo di motivazione, nonché la necessità che questa sia sufficiente, completa, ed esprima un percorso argomentativo tendenzialmente lineare. In ordine a ciò, un aspetto ampiamente descrittivo, e da più parti condiviso, è rappresentato dall’insoddisfazione per il modo in cui talora la Corte intende l’obbligo di motivare le sue pronunce, soprattutto allorché la scarsità della motivazione o l’utilizzo dei propri precedenti sembra conferire al giudice costituzionale una eccessiva discrezionalità.

Da qui le critiche a talune prassi, e la constatazione che proprio nella motivazione si rinviene il vero banco di prova dell’attività del giudice costituzionale. Tema che si riconnette alla sempre maggiore diffusione del sindacato di ragionevolezza, divenuta ormai la lente attraverso la quale la Corte effettua la quasi totalità dei propri giudizi. Sempre da più parti si chiede, allora, alla Corte di precisare i passaggi alla stregua dei quali essa effettua le sue valutazioni.

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