Abbiamo il DIRITTO di ESSERE FELICI?

Abbiamo diritto di essere felici? Vi confesso che questa domanda me la sono posta molte volte nel corso del tempo, ed oggi, in questo articolo, cercherò di dare una risposta.

Prima di iniziare faccio due brevi premesse:

1)tutto ciò che dirò è e va considerato come una delle tante opinioni che si possono avere su questo argomento. Non pretendo, ci mancherebbe altro, di avere la verità in tasca. Non è mia intenzione, in altre parole, convincere nessuno. Lo scopo di questo video è, infatti, un altro: proporvi un ragionamento che, questo sì, spero possa fungere da spunto per qualcuno per trovare la propria risposta a questa domanda, apparentemente banale ma che, a mio avviso, non lo è affatto.

2)Nella mia analisi ho pensato sia utile partire dalla risposta che ho deciso di dare a questa domanda, per la seguente ragione: penso sia più agevole seguire un ragionamento quando se ne conosce fin da subito la conclusione (è un po’ come, passatemi il paragone, quando alla guida della nostra auto, o anche a piedi, impostiamo il navigatore e l’unica cosa certa, fin da subito, è la destinazione: se non sappiamo nemmeno quella, ci appare inutile seguire il percorso).

Detto questo, possiamo cominciare.

Abbiamo diritto di essere felici? La mia risposta è NI.

Ora che ve l’ho comunicata, posso tornare indietro e, questa volta, presentarvi una serie di considerazioni a partire dalla domanda iniziale.

Abbiamo diritto di essere felici? Ci è dato essere felici? In che modo possiamo essere felici?. Avrete sicuramente notato che, alla prima domanda, ne ho aggiunte in sequenza altre due che assomigliano molto alla prima, ma non sono identiche. In che cosa si differenziano? Nella prima parte: ho sostituito l’espressione “abbiamo diritto” con, rispettivamente, “ci è dato” e “in che modo possiamo”. Perché ho fatto questo? Perché “avere il diritto” presuppone che qualcuno o qualcosa questo diritto ce lo riconosca ed attribuisca. Nel nostro ordinamento giuridico, basato sul principio di legalità, questo “qualcuno” è il legislatore ed il “qualcosa” è il prodotto della sua attività, ossia l’atto normativo che ne scaturisce: la Costituzione, una fonte primaria (una legge o un atto avente forza di legge) o una fonte secondaria (un regolamento). Stando così le cose, se ci fosse un atto normativo che ci da il diritto di essere felici, potremmo dire che il diritto di essere felici “ci è dato” (ecco la seconda espressione) da una norma. E qual è la caratteristica essenziale, tipica, intrinseca (tutti termini da me volutamente usati in questa sede, in senso “atecnico”, come sinonimi anche se, da un punto di vista strettamente giuridico, sinonimi non sono) di ogni norma? Il carattere precettivo: una norma “prescrive” qualcosa; in altri termini, ci dice “che cosa” e “in che modo possiamo” (ecco la terza espressione) fare qualcosa. Impone, insomma, a tutti noi di conformarci al suo contenuto che, a seconda dei casi e del tipo di fonte, può essere più o meno dettagliato (di regola, una legge è generale ed astratta mentre un regolamento governativo, pur essendo anch’esso un atto normativo, ricoprendo il posto di fonte secondaria nella gerarchia delle fonti deve, da un lato, non contrastare con la legge e, dall’altro, a seconda della sua tipologia, normare “nel dettaglio” una disposizione di legge).

A questo punto sorge un’ulteriore domanda: nel nostro ordinamento giuridico, esiste una norma Costituzionale, legislativa o regolamentare che, in modo esplicito, preveda il diritto di essere felici o, se vogliamo, più astrattamente, il diritto alla felicità? La risposta è NO.

E allora perché, alla domanda iniziale, ho risposto “NI”?

Per spiegarlo, ricorrerò ad un esempio giuridico. Il nostro codice penale, all’art 624, punisce il delitto di furto che, al primo comma, sanziona la condotta tenuta da “chiunque si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene al fine di trarne profitto per sé o per altri”. Domanda: il complice che, eventualmente, “faccia soltanto da palo”, non entrando nemmeno nell’abitazione e, magari, non vedendo neanche l’oggetto della refurtiva, può essere punito per furto? Leggendo la norma, sembrerebbe di no perché “materialmente” non si impossessa di un bel niente…e invece sì! In che modo? Per concorso di persona nel reato. Cosa vuol dire, letteralmente, concorrere? Significa “correre insieme” e, infatti, il complice che “fa da palo” agevola i compagni concorrendo nella commissione del furto e quindi, per l’innesto dell’art 110 del codice penale (norma che si occupa del concorso di persone nel reato) sulla fattispecie (il delitto di furto), l’ordinamento giuridico punisce anche una condotta che singolarmente considerata non sarebbe rilevante ma che, nel contesto in cui è tenuta, lo diventa.

Perché ho fatto questo esempio? Perché ciò che vi ho riportato rappresenta, a mio avviso molto bene, una situazione in cui pur non essendovi una norma che sanzioni direttamente e specificatamente una determinata condotta, questa è considerata ugualmente antigiuridica sulla base dell’applicazione di una norma generale di sistema (l’art 110 del codice penale) sulla norma di fattispecie speciale (l’art 624).

Prendendo “in prestito” (si fa per dire 😉) questo tipo di ragionamento e calandolo nel nostro discorso sul diritto alla felicità potremmo fare la seguente considerazione: non esiste alcuna norma giuridica che, esplicitamente, preveda il diritto alla felicità. Esistono, tuttavia, una serie di principi – tra cui quelli fondamentali contenuti nella Costituzione – che potremmo “chiamare in causa” per affermare che l’assenza di una norma che preveda ed attribuisca il diritto di essere felici, non costituisce un limite insormontabile affinché si possa affermare che questo sentimento sia non soltanto riconosciuto ma anche tutelato. Se, ad esempio, consideriamo il principio di uguaglianza contenuto nell’articolo 3, che recita:

“1. Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

2.È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”

Notiamo una cosa: il legislatore Costituzionale, con queste parole, tutelando oltre alla pari dignità ed all’uguaglianza dinnanzi alla legge anche le differenze riguardanti i sessi, la razza, le lingue, la religione, le opinioni politiche e le condizioni personali e sociali individuando nella Repubblica (ossia in ciascuno di noi) il compito di rimuovere gli ostacoli affinché tutti possiamo conseguire un pieno sviluppo della nostra persona e l’effettiva partecipazione all’organizzazione del paese.

Non è, forse, questo anche un modo per dire, pur non espressamente, che ciascuno di noi ha diritto di essere felice nel modo che preferisce, in accordo con ciò che preferisce, con l’unico limite di rispettare pienamente il prossimo, così da poter contribuire con la propria individualità allo sviluppo di un mondo più bello e giusto? 😉

 

Precedente Procedimento Amministrativo l. 241/1990 - 3a parte