COSA SIGNIFICA SPENDITA DEL NOME?

COPERTINA ART CHE COS'È LA SPENDITA DEL NOME

Cosa significa spendita del nome? La spendita del nome (in latino contemplatio domini) è un elemento strutturale dell’agire rappresentativo, in mancanza del quale non si producono gli effetti tipici della rappresentanza: se nel compiere l’atto per il rappresentato il rappresentante non spende il suo nome – avendosi, in tal modo, mancata spendita del nome – l’atto non tocca la sfera del rappresentato bensì vincola il rappresentante. In questo senso, essa si presenta perfino più essenziale dell’elemento costituito dalla stessa esistenza del potere rappresentativo: l’atto del rappresentante senzapoteri può in molti casi produrre effetti sul (falso) rappresentato; effetti che invece non può mai produrre l’atto del rappresentante che non spende il nome del rappresentato. È evidente in ciò un fine di tutela del terzo contraente: non si vincola il terzo ad un rapporto con soggetto diverso da quello con cui contratta, se non lo si mette in condizione di sapere che questo sarà l’effetto del contratto.

La spendita del nome implica due elementi: la manifestazione che l’atto non è compiuto per il suo autore, bensì per un diverso interessato; e la manifestazione dell’identità del diverso interessato. Entrambi sono necessari: se il rappresentante si limita a manifestare che non contrae per sé, ma per altro che tuttavia non indica, il contratto vincola per intanto il rappresentante (con l’eventuale possibilità di riversarne poi gli effetti sul rappresentato mediante successiva esplicitazione della sua identità, se la fattispecie è riconducibile ad una riserva di nomina del contraente.

Maggiore incertezza regna circa i modi della spendita del nome: vi contribuisce largamente una giurisprudenza produttrice di massime non univoche né coerenti, che sembrano oscillare tra due diversi indirizzi. Alcune sentenze delineano un indirizzo molto rigoroso: è vero che la spendita del nome non richiede l’uso di formule sacramentali ma deve essere rivolta al terzo contraente in modo esplicito e univoco, e non può ricavarsi da elementi presuntivi quali la conoscenza che il terzo abbia del potere rappresentativo in capo all’autore dell’atto, e dell’interesse che un altro soggetto porta all’atto medesimo. E se il contratto è formale, la spendita del nome deve rivestire la stessa forma e risultare dal contesto documentale dell’atto. In questa linea di rigore, si è negato perfino che costituisca spendita del nome la firma dell’amministratore di società sovrapposta all’indicazione, impressa con timbro, della denominazione sociale e della carica amministrativa del firmatario; o l’indicazione dei nomi di tutti i comproprietari di un terreno in un contratto di appalto per l’esecuzione su questo di un’opera deliberata da tutti, contratto peraltro firmato da un solo comproprietario senza l’espressa menzione del fatto che egli agiva anche per gli altri. Altre pronunce mostrano maggiore apertura: ammettono (almeno per il contratti non formali) una spendita del nome tacita, manifestata per comportamenti concludenti o ricavabile dalla stessa struttura del negozio; ad es dall’intestazione del contratto al nome del rappresentato, o addirittura del nudo fatto dell’appartenenza a lui del bene negoziato. Qualche pronuncia suggerisce che siffatta attenuazione del requisito trovi spazio nella rappresentanza legale degli incapaci, a fronte del maggior rigore con cui la spendita del nome andrebbe configurata nella rappresentanza volontaria.

L’onere di provare l’avvenuta spendita del nome incombe su chi fa valere effetti contrattuali in capo al rappresentato: lo stesso rappresentato, interessato ad appropriarsi di quegli effetti; o il rappresentante interessato a non risultare vincolato in proprio; o il terzo, interessato a vincolare il rappresentato. La giurisprudenza adombra tuttavia una distinzione: nei primi due casi la prova deve essere rigorosa; nel terzo caso potrebbe essere meno stringente.

Nella rappresentanza passiva la spendita del nome va concepita con gli opportuni aggiustamenti: di essa deve farsi carico non il rappresentante, bensì il terzo autore dell’atto, cui spetta manifestare che questo viene rivolto al rappresentante per il rappresentato, destinatario sostanziale degli effetti.

Notiamo infine come la spendita del nome, e più in generale meccanismi della rappresentanza, siano messi a prova dalla nuova realtà dei contratti informatici con firme elettroniche e specialmente digitali: non pare semplice adattarli al peculiare dispositivo delle chiavi crittografiche.

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