Riassunti Diritto Privato – ESTINZIONE Fideiussione per mutamento condizioni patrimoniali del debitore (art 1956 cc)

COPERTINA ART FIDEIUSSIONE ESTINZIONE ART 1956

Riassunti Diritto Privato – ESTINZIONE Fideiussione per mutamento condizioni patrimoniali del debitore (art 1956 cc)

in base all’art 1956 c.1 cc, la fideiussione si estingue (e quindi il fideiussore è liberato) quando, nell’ambito di una fideiussione per obbligazioni future (c.d. Omnibus) il creditore, senza richiedere l’autorizzazione al fideiussore, fornisca ulteriore credito al debitore quando la situazione patrimoniale di costui sia mutata in peggio.

Gli elementi che occorrono per far scattare la resp del creditore sono quindi: a)la conoscenza da parte di costui del peggioramento della situazione patrimoniale del debitore; b)la NON autorizzazione del fideiussore (il quale è ignaro); c)il tipo di fideiussione (quella per obbligazioni future); d)la volontà, del creditore, di concedere il credito in queste condizioni.

La Giurisprudenza e la dottrina ritengono che la ratio della resp del creditore risieda in una sua violazione del principio di correttezza e buona fede (infatti, il fideiussore, è ignaro di tutto in queste situazioni)

es: una banca che, nell’ambito di una fideiussione omnibus, conceda nuovo credito al debitore (in occasione di peggioramento della sua condizione patrimoniale) confidando sul fatto che “tanto c’è il fideiussore che garantisce” incorre nella resp in quanto tale comportamento è contrario ad una corretta gestione del credito.

è però necessario che il peggioramento delle condizioni patrimoniali del debitore sia non solo effettivo, ma anche SOPRAVVENUTO. La resp del creditore non vi sarebbe, infatti, nel caso in cui il debitore fosse già insolvente al momento della stipulazione della fideiussione (sia nel caso in cui il fideiussore, sapendolo, ha cmq legittimamente deciso di prestare la garanzia sia nel caso in cui, invece, il fideiussore fosse ignaro).

Con l’espressione “ha fatto credito” l’art si riferisce a credito NUOVO. Di conseguenza non rientrano in questa situazione gli eventuali interessi moratori o quelli per effetto dell’anatocismo (interessi sugli interessi) i quali, infatti, sono semplicemente collegati a rapporti obbligatori già sorti e, quindi, il fideiussore è tenuto a garantirli sia per il capitale sia per gli interessi.

Con l’espressione “peggioramento delle condizioni patrimoniali del debitore” l’art non si riferisce soltanto all’ipotesi di oggttiva e definitiva insolvenza dello stesso. Rientrano, infatti, anche le ipotesi di una consistente e rilevante diminuzione della solvibilità dello stesso.

Con il termine “conoscenza” l’art non intende punire il creditore solo nel caso in cui costui versi in dolo ma, anche, nei casi colposi (per negligenza).

la prova fa capo al fideiussore.

la liberazione dello stesso implica la totale estinzione della fideiussione (e non soltanto per l’importo eguale al credito nuovo fornito dal creditore al debitore).

la nullità della rinuncia preventiva alla liberazione ex art 1956 c.2

l’art 1956 c.2 stabilisce espressamente il DIVIETO (per il fideiussore) di pattuire una rinuncia preventiva alla liberazione consentitagli nei modi di cui al primo comma del presente art (v. par precedente)

tale divieto è stato introdotto in occasione della L. 154/1992 sulla trasparenza bancaria, approvata allo scopo di fornir maggior tutela alla clientela.
Prima della sua introduzione, infatti, in dottrina e giurisprudenza si registravano opinioni diverse riguardo all’ammissibilità di una rinuncia preventiva alla liberazione.
Parte della dottrina e della giurisprudenza riteneva che fosse pienamente lecita in quanto, l’art in esame, era da considerarsi dispositivo (prevedendo una forma di tutela per un interesse privato – quello del fideiussore – e, quindi, per tale ragione derogabile dalle parti).
Altra parte della dottrina e giurisprudenza riteneva che, invece, una deroga contrastasse con il principio di correttezza e buona fede (non derogabile dalle parti).
Prima della riforma si era cmq giunti ad una soluzione di compromesso che era la seguente: da un lato si riconosceva validità alla deroga operata dalle parti, dall’altro si riteneva però responsabile il creditore (spesso le banche) che avessero “approfittato” della deroga, non rispettando il principio di correttezza e buona fede. Quindi, in sintesi, si riteneva che la scelta di dispensare la banca dal richiedere l’autorizzazione di cui al c.1 dell’art 1956 non significasse la “libertà” di agire senza il rispetto delle regole di correttezza e buona fede.

Oggi, a seguito dell’approvazione della legge, come si evince dal c.2 in commento, è stato cmq ritenuto più opportuno vietare tale deroga in modo ASSOLUTO.

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