Pregiudiziale Tributaria: analisi dell’istituto e riforma

COPERTINA ART PREGIUDIZIALE TRIBUTARIA

 

 

La pregiudiziale tributaria era un istituto in base al quale l’azione penale per i reati previsti in materia di imposte dirette, il cui accertamento richiedeva la quantificazione dell’evasione attraverso l’applicazione di norma tributarie, non poteva avere corso finche´ non fosse definito il giudizio tributario. in altre parole Il giudice penale non poteva e non doveva intraprendere alcuna iniziativa penale né tantomeno esaminare alcuna condotta potenzialmente illecita se prima non diveniva definitivo l’accertamento dell’imposta dovuta (il legislatore del ’29 ritenne più razionale togliere al giudice penale la fase di accertamento, più specifica ed adatta ad un giudice specializzato nella materia tributaria: infatti, era il giudice tributario ad accertare l’esistenza dell’evasione).

Persino la prescrizione subiva una sospensione automatica, riprendendo a decorrere per i reati tributari solo se e solo quando diveniva definitivo l’accertamento.

Il giudice penale era assolutamente vincolato alla decisione già effettuata sull’accertamento e quest’ultima faceva stato nel procedimento penale. La pregiudiziale tributaria subordinava il procedimento penale alla definitività del contenuto dell’avviso di accertamento e, quindi, al giudicato formatosi nell’ambito del processo tributario. La sua introduzione era giustificata dall’esigenza di assicurare l’unità, la certezza e la coerenza dell’accertamento giurisdizionale, qualificando il diritto penale tributario come diritto speciale; tuttavia, l’efficacia vincolante riconosciuta all’accertamento amministrativo nei confronti del giudice penale risultava, poi, certamente incompatibile con i principi costituzionali del libero convincimento (ex art. 101 Cost., secondo cui “i giudici sono soggetti soltanto alla legge”) e dell’obbligatorietà dell’azione penale (ex art. 112 Cost., per cui “il Pubblico Ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale”).

Tale meccanismo di non operatività dell’illecito penale è stato abolito con l’introduzione della l. 516/82, c.d. “manette agli evasori”, che ha permesso di avere l’azione penale anche in pendenza dell’accertamento di imposta, determinando così la conseguente nascita del “DOPPIO BINARIO”, al fine di superare una situazione di sostanziale impasse nell’attività di repressione degli illeciti tributari (consentendo, dunque, la perseguibilità penale dei reati tributari a prescindere dallo svolgersi e dall’evolversi della procedura amministrativa nell’ambito della quale si controverte della sussistenza e dell’entità dell’evasione d’imposta).

Con la riforma del 2000 il legislatore ha quindi investito il giudice penale del compito di accertare l’esistenza dell’evasione.

L’art. 20 del D.Lgs. 74/00 ha confermato il principio della piena e reciproca autonomia (c.d. principio d’indipendenza) tra il procedimento penale e il processo tributario (ed amministrativo di accertamento), escludendo qualsiasi rapporto di pregiudizialità: infatti, l’attività di accertamento degli uffici ed i processi in seno alle commissioni tributarie proseguono il loro cammino anche nelle ipotesi in cui sia in corso un procedimento penale avente ad oggetto i medesimi fatti. Tale regime presenta il duplice vantaggio di evitare un’eccessiva dilatazione dei tempi delle decisioni e di rispettare le differenze, sul piano probatorio, tra l’ambito penale e quello amministrativo.

Secondo alcuni esperti in reati tributari, se è vero che l’A.F. deve trasmettere gli atti al giudice penale senza che questo ne sia vincolato, è altrettanto vero che in sede penale difficilmente si potranno ignorare i giudizi del fisco e del giudice tributario (così come in sede tributaria non si potranno del tutto ignorare le sentenze del giudice penale).

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