Penale Tributario – delitto tentato: disciplina

COPERTINA ART PENALE TRIBUTARIO E DELITTO TENTATO

Penale Tributario – delitto tentato: disciplina

L’art. 56, co. 1, c.p. stabilisce che chi compie atti idonei, diretti in modo non equivoco a commettere un delitto, risponde di delitto tentato, se l’azione non si compie o l’evento non si verifica (per cause indipendenti dalla volontà del soggetto agente). L’incompiutezza del fatto tipico può presentarsi in due forme: non è portata a termine l’intera condotta, diretta a commettere il delitto; l’agente ha posto in essere l’intera condotta, ma l’evento richiesto per l’esistenza del reato non si è verificato.

A norma dell’art. 6 del decreto legislativo 74/00 i delitti previsti dagli artt. 2, 3 e 4 non sono cmq punibili a titolo di tentativo: quindi, condotte quali l’inserimento in contabilità di documenti falsi o la presenza di eventuali omissioni nella tenuta delle scritture contabili non rilevano a titolo di delitto tentato.

Fino al momento della presentazione della dichiarazione fiscale, il contribuente può ravvedersi decidendo di presentare cmq una dichiarazione veritiera capace (almeno sul versante penale) di porlo al riparo da qualsiasi censura. Va precisato che le altre ipotesi di reato soggiacciono ai principi generali e non presentano alcuna preclusione alla punibilità del tentativo (art. 56 c.p.).

Un rilievo a parte meritano le ipotesi di omessa presentazione della dichiarazione (art. 5), di omesso versamento di ritenute certificate (art. 10 bis) e di omesso versamento dell’iva (art. 10 ter), atteso che si tratta di reati la cui condotta è almeno in parte di tipo omissivo. La maggioranza della dottrina tende ad escludere la configurabilità del tentativo nelle fattispecie omissive proprie (per via della natura unisussistente di tali fattispecie). Nessuna preclusione presentano, invece, le ipotesi di cui agli artt. 8, 10 e 11, nonché l’ipotesi di cui all’art. 10 quater, assodato che in tale ambito il mancato versamento dell’iva deve avvenire attraverso la realizzazione di una condotta tipica ben precisa (indebita compensazione), capace di trasformare il reato in un’autentica fattispecie di azione.

Anche l’art. 16 prevede una causa di esclusione della punibilità operante laddove il contribuente decida di ricorrere alla c.d. procedura di interpello e si adegui al parere espresso dal relativo Comitato. Il nostro ordinamento tributario prevede diverse ipotesi di interpello, oggi indirizzabili alla Direzione Centrale Normativa, al Direttore regionale dell’Agenzia delle Entrate o alla Direzione regionale competente. In virtù di tali procedure di interpello, il contribuente (qualora intenda porre in essere quelle operazioni soggette ad una valutazione di potenziale elusività) può preventivamente richiedere alla P.A. un parere in merito alla conformità della propria condotta alle disposizioni tributarie. Oggi, ad assumere rilevanza è il parere formulato a seguito della presentazione di una istanza all’Agenzia delle entrate. Tanto il rilascio di un parere espressamente favorevole all’operazione prospettata quanto la formazione del silenzio-assenso (se l’amministrazione non si esprime entro 120 gg, più ulteriori 60 gg a seguito di diffida del contribuente) consentono il beneficio della causa di esclusione della punibilità (vera e propria “scusante”, intesa come causa di esclusione della colpevolezza). Sono privi di effetto i pareri resi in presenza di documentazione incompleta o in difetto di corrispondenza al vero di elementi e circostanze indicati dal contribuente e rilevanti ai fini della pronuncia.

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