LAVORO PARTIME : Che cos’è? come funziona?

lavoro partime

LAVORO PARTIME : Che cos’è? come funziona?

i paesi nei quali il tasso di disoccupazione è minore sono anche quelli in cui il par-time risulta più diffuso

per quanto riguarda la disciplina legale di questo tipo di rapporto di lavoro, essa ha subito diverse modifiche nel tempo (1984, 2000, 2001, 2007, 2010, 2011, 2012, 2015).

le diverse modalità di attuazione del partime dimostrano come l’idea classica del partime come orario di lavoro dimezzato rispetto a quello a tempo pieno, non sia sempre conforme alla realtà. Un rapporti di lavoro partime, infatti, può certamente richiedere al lavoratore di prestare la propria opera per metà giornata per tutto l’anno. Ma può, altresì, essergli richiesto un altro tipo di impegno (es: lavorare per i primi 6 mesi dell’anno; lavorare – tutto il giorno – solo tre giorni alla settimana, ecc).

Con riguardo alla forma del contratto di lavoro a tempo parziale, la forma scritta è richiesta soltanto ai fini della prova. Ciò significa che, in sua assenza, il contratto NON può essere dichiarato nullo (proprio perché la forma scritta NON è richiesta ad substantiam ma, come detto, solo ai fini della prova).

Per contrastare il più possibile il c.d. Partime involontario il legislatore del 2000 (dlgs 61/2000) introdusse il diritto di precedenza, spettante a tutti i lavoratori a tempo parziale, nelle eventuali assunzioni – per le stesse mansioni o per mansioni equivalenti – a tempo pieno. Il legislatore del 2003 (dlg 276/2003), poi, “ritornò” sui suoi passi riducendo la portata di tale diritto. Con questo decreto, infatti, fu stabilito che il diritto di precedenza NON avesse più matrice legale ma fosse, invece, soltanto pattuibile dalle parti (cosa che, ovviamente, avveniva con pochissima frequenza stante la notoria ostilità in proposito dei datori di lavoro). Successivamente, con la L 247/2007 e ad oggi con il dlgs 81/2015, è stata ripristinata la base legale del diritto di precedenza. In altre parole, si è tornati (fortunatamente!) alla situazione regolata nel 2000.

è anche possibile che avvenga la situazione inversa: un lavoratore a tempo pieno che desideri trasformare il rapporto in partime.

Le domande di trasformazione a tempo parziale , tuttavia, da un lato, NON obbligano il datore di lavoro ad effettuare tale trasformazione e, dall’altro, NON gli impongono di motivare il proprio diniego (la legge non ha reso obbligatoria la motivazione al fine di evitare controversie giudiziarie, nascenti proprio dal diniego effettuato dal datore di lavoro).

Un vero e proprio dirito alla trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale è riconosciuto (dalla legge) ai lavoratori affetti da patologie oncologiche. Qualora, poi, ad essere affetto da tale tipo di patologia NON sia il lavoratore ma un suo parente (coniunge, figlio, genitore), la trasformazione del rapporto di lavoro non è più un diritto ma, comunque, la richiesta in tal senso deve essere considerata con priorità rispetto ad altre richieste dello stesso tipo effettuate da altri lavoratori.

Per quanto riguarda il trattamento economico normativo la legge prevede il criterio della proporzionalità pura. In base ad esso il trattamento sarà proporzionale all’orario svolto rapportato al tempo pieno.

Nel 2001 la normativa prevedeva una doppia elencazione contenente alcuni elementi che NON dovevano essere riproporzionati (v. libro) ed altri che, invece, era giusto subissero un riproporzionamento (v. libro pag 180).

Il dlgs 81/2015, invece, ha riprodotto soltanto la seconda serie di elementi, al fine di snellire la procedura. Tale manovra, tuttavia, è molto pericolosa. Il decreto, infatti, dopo aver generalmente ribadito che il lavoratore a tempo parziale ha i medesimi diritti di quello a tempo pieno, aggiunge che il riproporzionamento del trattamento economico normativo è giustificato in ragione della ridotta entità della prestazione lavorativa. In questo modo è stata altresì cancellata la possibilità, tanto per il contratto individuale quanto per quelli collettivi, di prevedere, al contrario, emolumenti retributivi PIÙ CHE PROPORZIONALI (considerando il fatto che, in certi casi, proprio grazie al minor numero di ore lavorative il lavoratore a tempo parziale risulta PIÙ produttivo di uno a tempo pieno).

Per quanto riguarda il lavoro supplementare (quello, cioè, prestato al di fuori dell’orario lavorativo pattuito nel contratto) prima della riforma del 2015 era, in teoria, consentito solo per i rapporti partime c.d. “orizzontali” (quelli nei quali il lavoratore partime lavora tutti i giorni ma per la metà del tempo rispetto al lavoratore a tempo pieno). In realtà, anche sotto la vigenza della precedente disciplina, il lavoro supplementare veniva richiesto dal datore di lavro anche al lavoratore con il quale costui aveva stipulato un rapporto di lavoro partime “verticale” o “misto” (quindi nel quale, ad es, il lavoratore è tenuto a lavorare solo alcuni giorni interi della settimana oppure alcuni giorni interi ed altri a metà).

Sempre sotto la vigenza della precedente riforma, affinché la richiesta di lavoro supplementare fosse legittima era necessario il consenso del lavoratore.

Nella versione attuale il dlgs 81/2015 ha previsto che il lavoro supplementare possa ancora essere regolato dai contratti collettivi nazionali (ma non è più requisito imprescindibile) e, cmq, che l’eventuale dissenso del lavoratore debba essere giustificato da comprovate esigenze lavorative, di salute, familiari o di formazione professionale. Inoltre è OBBLIGATORIO che la richiesta di lavoro supplementare venga effettuata con almeno 2 gg di anticipo e che il monte ore di lavoro supplementare NON superi il 25% delle ore settimanali concordate nel contratto.

All’interno di un contratto partime può essere anche inserita una c.d. Clausola elastica. Della clausola elastica può parlarsi in una duplice accezione: in riferimento alla durata del lavoro (quindi al numero di ore di lavoro richieste al lavoratore) ed in riferimento alla collocazione temporale (l’indicazione del giorno, mese, anno).

Ebbene, una clausola di questo tipo consente al datore di lavoro di NON dover richiedere ogni volta il consenso al lavoratore (come dovrebbe fare per il lavoro straordinario). Perché? Perché la clausola elastica (se e quando è inserita nel contratto) legittima il datore di lavoro a modificare (temporaneamente e all’occorrenza) il numero delle ore lavorative oppure il collocamento delle stess (es: se una commessa lavora 4 ore al giorno – dalle 9 alle 13 – il datore di lavoro potrà chiederle di lavorare lo stesso numero di ore ma nella fascia 13 -17).

l’attivazione in concreto delle clausole elastiche è subordinata a due condizioni:

1)il rispetto del necessario preavviso di almeno 2 gg

2)specifiche compensazioni per il lavoratore (in denaro oppure in giorni di riposo).

Le clausole elastiche possono essere concordate “a monte” (quindi al momento della stipulazione del contratto) oppure nel corso di un rapporto di lavoro già instaurato ma, in tale ultimo caso, il rifiuto del lavoratore NON può essere motivo di licenziamento.

La disciplina precedente tenendo conto del fatto che, a prescindere dal momento in cui una clausola elastica viene pattuita, può cmq capitare che mutino le esigenze del lavoratore, prevedeva il c.d. Diritto di ripensamento. Un lavoratore, infatti, specie quando la pattuizione della clausola veniva proposta in sede di assunzione, molto spesso “non si osava” rifiutare – nel timore di una mancata assunzione. Il diritto di ripensamento consentiva, quindi, di rivedere i patti in un secondo momento. Tale diritto fu cancellato nel 2003 e nel 2012 è tornato ad essere valorizzato (venendo, tuttavia, riconosciuto ex lege un diritto di ripensamento SOLO in favore di lavoratori con compiti di cura nei confronti di figli disabili, affetti da patologie oncologiche, oppure quanto il lavoratore è uno studente

per quanto riguarda l’apparato sanzionatorio, l’art 10 dlgs 81/2015 ha previsto che, in difetto di prova (siccome questa NON è ad substantiam ma soltanto ad probabtionem), il lavoratore può chiedere la trasformazione del rapporto parziale in rapporto a tempo pieno (a far data dalla sentenza con la quale il giudice abbia dichiarato la nullità del contratto a tempo parziale e disposto la sua trasformazione in contratto a tempo pieno – N.B. : il lavoratore avrà, cmq, diritto alla corresponsione della retribuzione e al versamento dei contributi previdenziali dovuti per le prestazioni effettivamente rese.

È opportuno, tuttavia, operare una distinzione

-qualora manchi l’indicazione della durata lavorativa → il giudice disporrà la trasformazione del contratto di lavoro da tempo parziale a tempo pieno

-qualora manchi, invece, soltanto l’indicazione della collocazione temporale dell’orario, il giudice NON disporrà la trasformazione del rapporto ma, soltanto, la determinazione delle modalità temporali di svolgimento della prestazione lavorativa – tenendo conto delle esigenze sia del datore di lavoro sia del lavoratore.

In entrambe le ipotesi, tuttavia, nel periodo antecedente alla pronuncia del giudice il lavoratore ha diritto alla corresponsione del risarcimento del danno – in aggiunta alle somme a lui dovute per la prestazione lavorativa effettivamente svolta.

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