COME FUNZIONA il contratto a termine acausale?

contratto a termine acausale

COME FUNZIONA il contratto a termine acausale?

Quando era in vigore l’art 2097 cc la stipulazione di un contratto a tempo determinato era sempre possibile in presenza di uno dei due requisiti (alternativi) indicati dall’articolo: specialità del rapporto o semplicemente pattuizione per iscritto.

Questa fu anche l’interpretazione della giurisprudenza.

Il legislatore del 1962, quindi, per arginare questa situazione, abrogò la norma e introdusse una lista chiusa (contenente un’elencazione tassativa di ipotesi in presenza dei quali era consentito, al datore di lavoro, ricorrere alla stipulazione di un contratto a tempo determinato). In tal modo trovava conferma il seguente assunto: il lavoro subordinato a tempo indeterminato è la regola mentre quello a tempo determinato costituisce l’eccezione.

Con il dlgs 368/2001, poi, il legislatore ha eliminato la lista chiusa ed aveva inserito la seguente clausola generale: era possibile stipulare un contratto a tempo determinato in presenza ragioni di carattere tecnico, produttivo o organizzativo => liberalizzazione della stipulazione dei contratti a tempo determinato (questo perché le stesse ragioni possono tranquillamente sottendere alla stipulazione di un contratto a tempo indeterminato, quindi risultò chiaro come l’intento del legislatore fosse unicamente quello di liberalizzare le assunzioni a tempo determinato).

Con la L. 92/2012, poi, il legislatore aveva iniziato ad applicare la direttiva europea sul lavoro a tempo determinato, sfruttando l’interpretazione data dalla corte di giustizia secondo la quale è legittima l’a-causalità del rapporto in relazione al primo contratto a tempo determinato stipulato. Nel 2012, quindi, il contratto a termine acausale fece ufficialmente ingresso nel nostro ordinamento giuridico.

con la L 78/2014, poi, il legislatore ha “dato il colpo finale” : eliminato il c.1bis (quello che era stato introdotto con la legge 92/2012 e che conteneva quanto consentito dalla corte di giustizia) => la possibilità di stipulare contratti a termine NON fu più limitata al primo contratto. Inoltre, sempre con questa legge, il legislatore ha innalzato il periodo di dempo entro il quale il contratto si considera a tempo determinato (si è passati da 1 anno ai 36 mesi – > quindi 3 anni).

L’unico limite è quindi esterno al contratto (il numero complessivo dei contratti a termine stipulati da un datore di lavoro che occupa più di 5 dipendenti NON può essere superiore al 20% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato)

tale disciplina è stata ovviamente criticata per essere in violazione della direttiva europea sul lavoro a tempo determinato (la disciplina europea, infatti, come detto in precedenza consente soltanto l’a-causalità del PRIMO contratto a tempo indeterminato)

per quanto riguarda la forma del contratto, qusta deve essere scritta ad substantiam e la durata può anche desumersi per relationem (es: se un lavoratore è assunto a tempo determinato al fine di sostituire un lavoratore in malattia, anche se non espressamente indicato il termine di scadenza del contratto coinciderà con il ritorno in servizio da parte del lavoratore precedentemente malato)

legittimità della proroga: nella previgente disciplina era legittima in presenza di determinate condizioni e poteva essere effettuata una volta soltanto. Con la L 78/2015 le proroghe possibili sono diventate 5 e con il dlgs 81/2015 è stato eliminato anche l’obbligo,in caso di proroga, di far svolgere al lavoratore sempre le stesse mansioni (risultato: con le 5 proroghe è possibile far svolgere mansioni diverse al lavoratore).

Per quanto riguarda la reiterazione del contratto, in passato (con la L. 230/1962 e la 196/1997) era prevista una presunzione assoluta di frode nel caso di reiterazione del contratto.

Poi però con il dlgs 368/2001 tutto questo è stato cancellato dal legislatore! Bastava, infatti, che non vi fosse continuità dei contratti a tempo determinato, e non c’erano problemi! In altre parole, bastava che dopo la scadenza del primo contratto il datore di lavoro attendesse anche solo un giorno per stipulare il secondo.

la disciplina della legge 99/2013, poi, prevedeva una presunzione assoluta di frode nel caso in cui non fossero stati rispettati determinati requisiti temporali prima della riassunzione a tempo determinato (ed in tal caso la sanzione era l’obbligatoria trasformazione del rapporto da determinato ad indeterminato)

Attualmente, con la L 78/2014, per contrastare la prassi delle assunzioni a termine “a catena” è stato stabilito un limite temporale massimo alle assunzioni a catena (quello, come detto prima, di 36 mesi)…TUTTAVIA! tale termine è soltanto appartente (è infatti possibile derogarvi con i contratti collettivi di qualsiasi livello – anche quelli stipulati a livello aziendale, oppure è consentita la possibilità di stipulare un ulteriore contratto a termine tra le seguenti parti seguendo il particolare iter procedurale della stipulazione di un contratto a termine di durata massima di un anno presso la direzione territoriale del lavoro competente. Questo contratto, poi, si considererà a tempo indeterminato SOLO se non siano rispettati a)i vincoli procedurali; b)la durata massima di 1 anno).

Per quanto riguarda il trattamento economico è vietata ogni forma di discriminazione (sia nel trattamento economico sia in quello normativo) tra lavoratori a tempo determinato ed a tempo indeterminato che siano comparabili, a causa delle mansioni svolte.

Con riguardo al diritto di precedenza, il dlgs 368/2001 aveva modificato la disciplina previgente. Tale normativa, infatti, nei confronti dei lavoratori stagionali aveva previsto l’eliminazione del diritto di precedenza previsto per legge consentendo, al suo posto, soltanto la pattuizione all’interno del contratto individuale. La legge 247/2007, invece, non soltanto ripristinò anche per i lavoratori stagionali l’applicazione ipso iure del diritto di precedenza ma aggiunse, altresì, il seguente tipo di trattamento (applicabile a tutti i lavoratori che avessero svolto un lavoro a tempo determinato): il lavoratore a tempo determinato che abbia svolto la propria prestazione per un termine pari almeno a 6 mesi ha diritto di precedenza nelle eventuali assunzioni a tempo indeterminato che il datore di lavoro intendesse stipulare nei 12 mesi succesivi.
Nei riguardi della marternità, poi, il legislatore ha stabilito che il periodo di congedo per la maternità sia computabile al fine di poter essere considerato come periodo lavorativo e, quindi, cumulabile con il periodo lavorativo effettivamente svolto, al fine di conseguire il diritto di precedenza.
Per avvalersi del diritto di precedenza, cmq, il lavoratore deve manifestare la propria volontà in tal senso, rispettivamente nel termine di 3 mesi (per il lavoro stagionale) e 6 mesi (per un ordinario lavoro a tempo determinato) dalla scadenza del contratto.
Il diritto di precedenza, inoltre, deve risultare da atto scritto e si estingue entro un anno dalla scadenza del contratto.

Per quanto riguarda l’impugnazione di un atto illegittimo, in assenza di una chiara disciplina regolatrice, parte della giurisprudenza (anche se minoritaria) ha equiparato la scadenza di un contratto a termine illegittimo con il licenziamento illegittimo intervenuto nei confronti di un lavoratore a tempo indeterminato. Conseguenza di tale assimilazione fu la seguente: l’applicazione (ai fini dell’impugnazione del contratto) del termine di 60 gg (dalla scadenza dello stesso) previso dalla legge 604/1996.
altra giurisprudenza (maggioritaria ed avallata anche dalla Cassazione a sezioni unite) ha invece ritenuto NON applicabile la disciplina dei licenziamenti (in quanto la scadenza di un contratto a termine illegittimo non è equiparabile ad un licenziamento illegittimo intervenuto nel corso di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato). Per tale ragione, tale filone giurisprudenziale ha ritenuto che l’azione esercitabile dal lavoratore (azione di nullità parziale) fosse imprescrittibile (posto che l’azione di nullità non è soggetta a prescrizione). La possibilità di applicare la disciplina dei licenziamenti rimaneva, invece, possibile SOLO nel caso in cui il datore di lavoro, invece di comunicare, al lavoratore, la disdetta per intervenuta scadenza del termine del contratto gli avesse intimato il licenziamento (nell’erroneo presupposto dell’intervenuta conversione del rapporto di lavoro a tempo determinato in rapporto a tempo indeterminato).

Per quanto riguarda i termini di impugnazione e deposito del ricorso, la disciplina del 2010 (L 183) prevedeva i seguenti termini: 60 gg per l’impugnazione e 270 gg per il deposito del ricorso.
La L 92/2012, invece, ha modificato i termini suddetti nel seguente modo: 120 gg per l’impugnazione e 180 per il deposito del ricorso nella cancelleria del giudice competente.

Sul versante sanzionatorio, invece, fermo restando l’automatica conversione da rapporto a tempo determinato a rapporto a tempo indeterminato (qualora il lavoratore vinca la causa) la L 92/2012 ha previsto soltanto la corresponsione di una indennità comprensiva (nella misura compresa tra un minimo di 2,5 ad un max di 12 mensilità).

Il rapporto di lavoro a termine, cmq, è dotato di massima stabilità, a meno che non ricorra ex art 2119 cc una giusta causa di recesso (per uno o entrambi i contraenti – quindi per il datore di lavoro o il lavoratore).
In caso di recesso ante tempus del datore di lavoro (senza giustificazione!) costui sarà obbligato a corrispondere al lavoratore SOLO il risarcimento del danno (corrispondente alle retribuzioni che sarebbero state percepite dal lavoratore se non fosse intervenuta l’illegittima cessazione del rapporto di lavoro).

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