L’EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI CAUSA NELL’ORDINAMENTO GIURIDICO ITALIANO

L’EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI CAUSA NELL’ORDINAMENTO GIURIDICO ITALIANO

KEYWORDS: la causa; la causa del contratto; art 1325 cc

Ai sensi dell’articolo 1325 del codice civile la causa è, insieme all’accordo, all’oggetto e alla forma per la validità, uno dei requisiti essenziali del contratto.

Il tema della causa del contratto costituisce, da sempre, una delle problematiche più insidiose del diritto civile.

Le prime difficoltà, infatti, si riscontrarono già nel momento in cui si cercò di fornirne una definizione. Il legislatore del 1942 dopo averla qualificata come “elemento essenziale “ del contratto (art. 1325, n. 2, c.c.), non ha tuttavia specificato in cosa essa consista.

Cercando, in ogni caso, di fornire una nozione sintetica di causa, si può dire che la essa è “il perché´” del contratto, ossia l’elemento essenziale, che giustifica ogni spostamento di ricchezza all’interno della singola operazione negoziale. In un ordinamento giuridico che garantisce autonomia negoziale ai privati con l’unico limite della meritevolezza di tutela degli interessi, portati a realizzazione attraverso lo strumento negoziale (art. 1322, comma 2, c.c.), la causa rappresenta lo strumento di controllo che lo stesso ordinamento mette a disposizione del giudice per verificare che il singolo contratto sia rispettoso di tale limite.

In un certo senso il contratto è, quindi, innanzitutto terreno nel quale si confrontano e si scontrano gli egoismi privati. Ognuna delle parti, infatti, attraverso di esso ha lo scopo di realizzare i propri interessi. Tuttavia, questi interessi spesso e volentieri sono in gran parte antagonisti tra di loro. Al contratto è quindi affidato il delicato compito di regolarli, in modo che ciascuno dei contraenti non si trovi ad essere sopraffatto dagli interessi della controparte. La configurazione di un punto di equilibrio accettabile da entrambe le parti è quindi elemento fondamentale per la corretta regolazione dei loro rispettivi interessi. Il suo raggiungimento non è tuttavia sempre agevole, dando vita a non pochi problemi in tutti quei casi nei quali l’interesse della parte non è contemplato né dall’accordo contrattuale né da una specifica norma applicabile al contratto. È in queste situazioni che viene in gioco la distinzione tra causa e motivi del contratto.

I motivi sono gli interessi (bisogni, impulsi, fini) della parte che, non facendo parte della sua ragione giustificativa, restano fuori dal contratto.

Ad es se A dà fideiussione a B per il debito di X e spiega che lo fa perché è in grande amicizia con il debitore, questo resta un motivo irrilevante nonostante venga comunicato alla controparte. L’eventuale successiva rottura dell’amicizia con X, infatti, potrà certamente frustrare l’interesse contrattuale di A, ma frustrando un interesse che inscritto in una dimensione del tutto soggettiva, intacca un motivo e non la causa del contratto, il quale perciò non ne soffrirà1.

La causa del contratto, invece, comprende gli interessi della parte che il contratto deve assicurarle, perché formano la ragione giustificativa del contratto stesso.

In assenza di una definizione normativa espressa di causa, dottrina e giurisprudenza si sono fatte carico di cercare di dare una risposta a tale quesito. Nel corso del tempo si è assistito, infatti, ad un susseguirsi di teorie molto diverse fra loro, elaborate attorno al tema in questione.

 LA TEORIA OGGETTIVA O DELLA FUNZIONE ECONOMICO-SOCIALE

Secondo i sostenitori di questa teoria la causa è la funzione economico-sociale del contratto, ossia la sintesi dei suoi effetti essenziali. In altre parole, la teoria oggettiva riassume in un’unica formula “ciò che il contratto è idoneo a fare “.

Essa è, al contempo, funzione economica perché il contratto è “un affare” e funzione sociale perché consente all’ordinamento di compiere uno scrutinio circa la sua utilità`2.

La teoria in questione risale a Emilio Betti ed è stata accolta dal legislatore del 1942 per la sua capacità, ritenuta essenziale nel periodo storico in cui fu redatto il vigente codice civile, di consentire un sindacato giudiziale sul singolo contratto.

Il regime fascista, infatti, esprimeva un forte interesse per l’economia nazionale, premiando quindi una definizione di causa che guardava alla dimensione oggettiva del contratto, considerato come veicolo di spostamento della ricchezza da sottoporre a controllo giudiziale.

La causa, intesa in questo modo, diviene quindi elemento unificatore di tutti i contratti appartenenti al “tipo”, a prescindere dai “motivi” che hanno spinto le parti a finirlo che sono relegati al rango si semplici scopi. In altri termini, si allontana dal singolo contratto visto nella sua dimensione concreta.

Nonostante la teoria in esame debba ormai considerarsi superata, ad essa va ugualmente riconosciuto il merito di aver inserito tra gli elementi essenziali del contratto uno strumento (la causa) particolarmente capace di permettere al giudice un sindacato sulla meritevolezza di tutela degli interessi perseguiti dalle parti e, quindi, di giustificare la particolare forza che l’ordinamento riconosce ai loro impegni.

Più nel dettaglio, i sostenitori della teoria della funzione economico-sociale sostenevano che gli scopi avuti di mira dalle parti — corrispondenti ai motivi — fossero per l’ordinamento giuridicamente irrilevanti, salvo il disposto dell’art. 1345 c.c. e, poiché la causa è la funzione svolta dal contratto, il tipo è la struttura necessaria a produrre tali effetti.

Tuttavia, come accennato poc’anzi, oggi si è giunti al superamento della teoria economico-sociale della causa del contratto, giacché diverse critiche le sono state mosse proprio perché essa, di fatto, riduce la causa a semplice sintesi degli effetti essenziali prodotti dal contratto stesso, tendendo quindi a trascurare lo scopo in concreto perseguito dalle parti, confondendosi con il concetto di tipo legale e, in particolare, non riuscendo a concepire un contratto tipico illecito3 (situazione che, invece, può accadere in concreto).

 LA TEORIA SOGGETTIVA O DELLO SCOPO ULTIMO

La teoria soggettiva o dello scopo ultimo, sorta in contrapposizione a quella appena richiamata, ritiene che la causa del contratto rappresenti lo scopo della parte, ossia la ragione per cui viene assunta l’obbligazione.

Ragionando in questa direzione si rischia, tuttavia, di confondere la causa con la motivazione del consenso4, ossia con i “motivi” che il legislatore considera giuridicamente irrilevanti (al di fuori dell’ipotesi consacrata nell’art. 1345 c.c.).

Al fine di superare tale problema, i sostenitori della teoria in esame precisano che lo scopo a cui essa fa riferimento non va confuso con quello avuto di mira singolarmente da ciascun contraente, riguardando, invece, lo scopo ultimo perseguito da entrambi5.

Si tratterebbe quindi di distinguere, da un lato, i motivi individuali, destinati a rimanere nella sfera intima di ciascun contraente, e quindi come tali giuridicamente irrilevanti, e dall’altro lato la causa che, vista in un’accezione dinamica, sintetizza e al contempo pone in rilievo i vantaggi che le parti conseguono attraverso il contratto.

La teoria in questione, a ben vedere, risulta essere in realtà una “variante terminologica” di quella della funzione economico-sociale. Infatti, lo scopo ultimo si identifica più che altro con la sintesi degli effetti del contratto, anche se vista ponendosi da un differente angolo visuale. In altre parole, mentre la teoria soggettiva pone l’accento sulla rappresentazione psichica delle parti, quella oggettiva si concentra sugli effetti che il contratto produce.

LA TEORIA SEMIOGGETTIVA O DELLA FUNZIONE ECONOMICO INDIVIDUALE

Entrambe le teorie appena richiamate sono state sottoposte a critiche per una serie di ragioni.

Quanto alla teoria della funzione economico-sociale, si nota come la stessa sia, innanzitutto, caratterizzata da eccessivo “astrattismo”, poiché tende a concentrarsi sull’architettura strutturale del contratto, fino a ridursi ad “un’inutile ripetizione del contenuto complessivo”6 dello stesso. Così facendo, trascurando del tutto gli interessi avuti in concreto di mira, considerandoli soltanto come “moventi individuali” irrilevanti per l’ordinamento giuridico. Inoltre, aderendo a tale teoria, risulta difficile sia distinguere la “causa” dal “tipo” sia concepire un contratto tipico con causa illecita.

Quanto alla teoria dello scopo ultimo, essa tende a confondersi – per le ragioni descritte nel paragrafo precedente – con quella della funzione economico-sociale.

Pertanto, tra i due poli “opposti”, occorre seguire un’interpretazione del concetto di causa che adotti una definizione che non trascuri due esigenze: da un lato, gli interessi avuti di mira dalle parti e, dall’altro, che non tradisca le caratteristiche di generalità ed astrattezza che risultano essere necessarie nell’analisi di un elemento essenziale del contratto.

La teoria semi oggettiva o della funzione economico-individuale, o ancora della causa concreta, ha fornito una risposta alle due esigenze appena enunciate. Secondo tale teoria, infatti, la causa del contratto si identifica con la concreta composizione di contrapposti interessi che attraverso il meccanismo contrattuale vengono contemporaneamente soddisfatti. Essa ha inoltre il pregio di spostare l’attenzione dall’astratto schema contrattuale al concreto e dinamico assetto di interessi programmato dalle parti. La causa, in altre parole, non è più sintesi di effetti negoziali, ma di interessi che il contratto, cosı` come concretamente concepito dalle parti, è idoneo a realizzare.

Gli effetti negoziali così cari alla teoria della funzione economico-sociale, in quest’ottica diventano il “risvolto fattuale” degli interessi avuti di mira dalle parti: in altre parole, la loro realizzazione pratica. L’attenzione è tutta spostata, invece, all’effettiva attitudine del contratto a realizzare, nel caso di specie, un concreto assetto di interessi.

Ragionando in tal senso, è di conseguenza agevole porre attenzione a quello che le parti vogliono dal contratto senza, tuttavia, sfociare nell’errore di attribuire giuridico rilievo ai motivi individuali. È in quest’ottica che trova origine il concetto di causa concreta, intesa come ragione concreta del contratto, quindi come elemento in grado di giustificare l’accordo stesso. La causa, in altri termini, va analizzata caso per caso, non potendosi individuare a priori “una volta per tutte”, ma soltanto ponendo attenzione al singolo e specifico contratto, visto quale veicolo di realizzazione degli interessi concretamente perseguiti.

L’adozione di tale teoria comporta altresì un duplice vantaggio. Innanzitutto diviene agevole distinguere la causa dai concetti di tipo, da un lato, e di motivo, dall’altro. Inoltre, diviene altresì possibile inquadrare ed ammettere anche figure negoziali nuove e atipiche la cui adozione, in precedenza, sembrava impossibile. Tutto ciò contribuisce a spiegare la grande adesione che, negli ultimi anni, ha espresso la dottrina prevalente alla teoria in parola. Sempre di recente, la teoria della causa concreta ha registrato il suo ingresso ufficiale anche nella giurisprudenza di legittimità7.

Ancora un’osservazione in merito alla teoria in esame: la concezione concreta della causa non significa, tuttavia, un ritorno alla concezione soggettiva della stessa, e quindi alla valorizzazione delle motivazioni strettamente individuali di una parte. Concreto non si identifica con soggettivo; concretezza, invece, è declinata in termini di oggettività.

Ad esempio, se A dà fideiussione a B per garantire il suo ingente credito verso la debitrice società X, spinto dall’interesse che gli deriva dall’essere socio maggioritario di X (tale diventato per successione ereditaria del vecchio socio defunto) questo suo interesse introduce nel contratto una concreta causa accanto alla tipica causa di garanzia; perciò la dissoluzione di questo interesse (ove ad esempio risultasse che un testamento successivamente scoperto priva A dell’eredità, e così della qualità di socio) è evento che attiene alla causa del contratto, e apre il problema della sorte di questo.

1 V. ROPPO, Il contratto, Milano, 2011, 17, pag. 752 ss.

2 Sacco, Trattato di Diritto Civile – Il Contratto, 2004, 572.

3 Si riporta l’esempio di Sacco, il quale dice che “se io compro droga, il contratto avrebbe una causa lecita” perché trattasi pur sempre di una compravendita

4 Bianca, Diritto Civile, n. 3, Il contratto, 2000, 448

5 De Ruggiero, Istituzioni di Diritto Civile, 262

6 Sacco, Il contratto, in Trattato Vassalli, 1975, 577

7 Nonostante implicitamente fosse già stata adottata in passato in qualche decisione della giurisprudenza è solo con la sentenza n. 10490/2006 che la Cassazione ha ammesso apertamente di aderirvi.

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